Recessione

La riduzione del Prodotto Interno Lordo (PIL) per 2 trimestri consecutivi costituisce recessione tecnica. Un segnale d’allarme per l’economia Italiana sul quale riflettere responsabilmente. Il primo trimestre con indice di crescita da prefisso telefonico milanese (02) è un sospiro di sollievo, ma non cambia il quadro economico e urgono iniziative concrete per il lavoro e lo sviluppo.

Consigliere ALDAI-Federmanager – franco.del.vecchio@tin.it
A fine gennaio l’ISTAT ha confermato la riduzione del PIL del 0,2%, nel 4° trimestre 2018 rispetto al precedente, che a sua volta era diminuito del 0,1%, aprendo la cosiddetta recessione tecnica.
Il grafico di fonte Eurostat indica la variazione del PIL dell’Italia negli ultimi tre anni ed è accessibile CLICCANDO QUI e poi i dati "GDP".
La recessione è una brutta notizia sull’andamento economico italiano in un contesto economico mondiale che presenta segnali di rallentamento, sebbene sia ancora in crescita. La variazione del PIL nel 4° trimestre dell’Unione Europea, con 28 paesi, è stimato in crescita del +0,3%, mentre i consuntivi finora disponibili per alcuni paesi sono confortanti: +0,3% la Francia e +0,7% la Spagna. Dunque rischiamo ancora una volta di essere il fanalino di coda, se si confermerà la previsione di crescita 2019 che la Commissione Europea attribuisce allo 0,2% rispetto all'1% previsto dal Governo. 
Il PIL è un indicatore dello stato di salute economica del paese e la recessione tecnica è un segnale allarmante per diverse logiche ragioni. 
Una riduzione del Pil genererebbe un deficit superiore al 2,04% previsto e concordato con l'Unione Europea con conseguente aumento del debito pubblico e maggiori tasse per IVA derivanti dalla clausola di salvaguardia.

Più poveri

Ci sono meno risorse generate e disponibili, con conseguente impoverimento generalizzato che rischia di aumentare i più poveri. Per intenderci in tre mesi noi ci troviamo con lo 0,2% di prodotto interno lordo in meno, mentre i francesi lo aumentano dello 0,3%; noi imbocchiamo la strada della recessione, mentre gli altri continuano a crescere. Meno PIL vuol dire meno risorse e quindi più povertà per tutti. Recessione vuol dire preoccupazione: come se in azienda il fatturato diminuisse del 0,2% o in famiglia i redditi diminuissero del 0,2%. Nulla di drammatico, ma qualche taglio alle spese e la ricerca di nuove entrate sarebbe logico.

Un pericoloso circolo vizioso

Il rapporto fra debito pubblico e PIL è un indice di indebitamento del paese utilizzato per misurarne la solvibilità. Secondo le rilevazioni Istat nel 3° trimestre 2018 il debito pubblico è aumentato rispetto al Pil del 1,7% e la riduzione del Pil, al  denominatore, avrà l’effetto di aumentare l’indice del 0,2% nel 4° trimestre. Poca cosa, ma non aiuta certo a migliorare la percezione di solvibilità del debito, aumentato negli ultimi mesi del 2018 rispetto all’anno precedente, per di più con una PIL in calo. Insomma c’è il rischio di innescare una pericolosa percezione di sfiducia con ulteriore abbassamento del rating e crescita dello spread, con conseguente aumento dei costi per interessi sul debito pubblico. Insomma un pericoloso circolo vizioso che aumenterebbe il deficit per il duplice effetto della riduzione del PIL e dell’aumento dei costi per maggiori interessi.
Un buon gestore attiverebbe delle misure correttive per evitare il maggior deficit che potrebbe essere compensato da maggiore tassazione o altro debito pubblico, misure entrambe rischiose per la sostenibilità economica e sociale del Paese. Insomma meglio agire responsabilmente e rapidamente finché si è in tempo, come si farebbe in azienda o in famiglia.

Il valore della responsabilità

I cittadini, in qualunque paese del mondo, si aspettano una buona gestione dell’amministrazione pubblica; un argomento prioritario considerando l’importanza delle scelte per la vita delle persone e delle prossime generazioni. Un tema sempre più importante considerando la mobilità dei capitali e delle persone che si trasferiscono dove ci sono migliori prospettive di sviluppo. In Italia l’amministrazione pubblica gestisce circa 800 miliardi di euro l’anno, più di 13 mila euro per ogni residente, che si aspetta in cambio servizi di qualità sostenibili nel tempo: salute, educazione, infrastrutture per i trasporti, etc. La sostenibilità è un valore del quale farsi seriamente carico con l’impegno per il pareggio di bilancio. Quindi a prescindere dalla maggioranza di turno al Governo, i cittadini si aspettano una amministrazione che operi per la prosperità e il benessere per tutti, creando condizioni di sviluppo: senza privilegiare o pregiudicare alcuno.

Reazione alla recessione

L’annuncio della recessione mi ha colpito e ne sono rimasto dispiaciuto per l'impegno e il contributo di tante persone di buona volontà. Il paese non merita un'altra fase di depressione, di una decrescita infelice, la terza in 10 anni. 

Sono rimasto alquanto perplesso per i commenti e per l’atteggiamento di chi amministrava e amministra la “cosa pubblica”.

La tendenza a minimizzare e la speranza in momenti migliori è di per sé preoccupante.
Il “mal comune mezzo gaudio”, cercando paesi che stanno peggio, non soddisfa i cittadini che attendono iniziative e risultati concreti. 
Il mutuo scarico di responsabilità fra chi c’era prima e chi gestisce oggi indigna chi si aspetta atteggiamenti responsabili e collaborativi nell’interesse di tutti.
L’assenza di analisi oggettive e proposte correttive è inquietante.

I nostri problemi hanno origine nel contesto poco favorevole allo sviluppo delle imprese, che danno lavoro a sole 3 persone su 5, come descritto nell'articolo "Non è un Paese per chi ha voglia di lavorare".

Bisogna avere il coraggio di investire le poche risorse disponibili per creare un contesto che favorisca l'occupazione: la riduzione e la semplificazione della tassazione, la riduzione del cuneo fiscale, lo sviluppo di infrastrutture, l’aggiornamento del sistema educativo, la lotta all’evasione, la competitività complessiva del sistema Paese riducendo i costi dell’apparato burocratico. Ne parlano tutti, ma nessuno ha finora avuto il coraggio di "fare".

Invece di favorire la partecipazione attiva della popolazione ai grandi temi della gestione pubblica si preferisce la politica spettacolo.

Dopo due giorni dall’annuncio della recessione nessuno più ne parla. I media riprendono ad occuparsi di temi evidentemente ritenuti più importanti: i migranti, i casi giudiziari, il brutto tempo, i delitti di sangue, … tutti argomenti che aumentano l’audience e le tirature dei giornali forse, ma che non aiuteranno ad aumentare la partecipazione allo sviluppo del Paese e il benessere dei cittadini.

La recessione economica è solo un segnale evidente di un degrado valoriale più ampio, del quale è necessario prendere coscienza ed impegnarsi per un percorso di sviluppo sostenibile nel mondo globale.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.